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Premio Assiteca VII Edizione - Innovazione Digitale: Storie di successo

Big Data, in Italia un mercato da 900 milioni

I dati parlano, ed è arrivato il momento di ascoltarli.
Perché la quantità di informazioni che generiamo – i cosiddetti big data - cresce ogni giorno.
E rappresenta una potenziale miniera d’oro per chi vende prodotti o servizi.

A patto però che si riesca a dare a questi dati il giusto valore: aggregandoli, gestendoli e analizzandoli.
Magari con l’aiuto di professionisti specializzati.

Sono pronte le aziende a cogliere le opportunità di innovazione che derivano da questo mercato?
E a quali figure professionali dovranno rivolgersi per farlo?

In Italia il termometro del mercato degli analytics scotta, e la febbre da big data continua a salire. A dirlo sono i risultati di una ricerca dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano.

Rispetto al 2015 il mercato di settore è cresciuto del 15%, sforando il valore complessivo di 900 milioni di euro. A fare la parte del leone è il ramo della Business Intelligence (con un valore di 722 milioni di euro, +9% sul 2015), ma i Big Data, nonostante facciano registrare valori ancora marginali (183 milioni di euro), sono il settore che cresce di più (+44%).

L’appetito delle imprese è stimolato principalmente dal vantaggio competitivo che può scaturire dall’elaborazione dei “grandi dati”. A partire dal reperimento di tutte quelle informazioni monetizzabili in fase di vendita, come per esempio le abitudini e i gusti dei clienti. Ecco perché, secondo la ricerca del Politecnico, il 39% dei CIO (Chief Information Officer) italiani vede nel settore “analytics” una priorità di investimento per il 2017. È la dimostrazione che la strada verso il modello ‘data driven company’ è già tracciata, e rappresenta una necessità per chi vuole affrontare i cambiamenti del mercato senza sorprese.

Ma se governare i Big Data è ormai una priorità, lo è altrettanto la ricerca di nuove competenze, differenti modelli organizzativi e originali approcci tecnologici per lavorare con queste sorgenti informative. In altre parole servono figure in grado di generare valore a partire da una massa di dati grezzi. È il compito che spetta ai data scientist, professionisti capaci non solo di sfruttare le informazioni disponibili, ma anche di creare nuovi modelli di business. Non sorprende quindi che, nel 2016, un impresa su tre abbia già inserito nel proprio organico una figura di questo tipo, la cui crescita è del 57% rispetto all’anno precedente.

Fatte salve le evidenze positive, bisogna tuttavia sottolineare che il processo di transizione delle tradizionali imprese italiane verso il modello “big data enterprise” è ancora agli albori. Solo l’8%, infatti, ha raggiunto un buon livello di maturazione, mentre il 26% ha appena iniziato il percorso e il 66% si trova in una situazione intermedia.

 

 

 

 

 

 

 

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