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Premio Assiteca VII Edizione - Innovazione Digitale: Storie di successo

Lo smart working cresce ( +17% nel 2016) ma non è ancora ben attuato

Dimentichiamoci del posto fisso. Anzi, del posto fisico.
Perché il lavoro è sempre più dinamico e i dipendenti sempre meno vincolati allo spazio di un ufficio. 

E allora addio ai cartellini da timbrare, alle stanze affollate e alle scrivanie da condividere con colleghi poco simpatici.
Benvenuti nell’era dello smart working, una rivoluzione che sta ridisegnando le dinamiche del rapporto tra datori di lavoro e dipendenti.

In generale ricorrere a prestazioni di lavoro “smart” garantisce vantaggi sia all’azienda – in grado di ridurre strutture fisse e costi - sia al lavoratore, che meglio coniuga vita e lavoro.

Sono pronte le aziende ad affrontare il cambiamento che porta con sé il lavoro agile?

La fotografia dello stato dell’arte l’ha scattata una ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano. Gli “smart worker”, che secondo la ricerca in Italia sono già 250mila, hanno un profilo definito: nella maggior parte dei casi (69%) si tratta di uomini con età media di 41 anni, residenti al Nord (52% dei casi) e rilevano un netto miglioramento nelle dinamiche lavorative rispetto a chi opera secondo le modalità tradizionali.

Stiamo dunque andando verso un modello produttivo che prescinde dal luogo fisico di lavoro? Alt.
Lo smart working è un fenomeno che mostra grandi potenzialità di crescita, ma al tempo stesso necessita di condizioni precise per essere attuato.
In primis vanno ripensati i modelli organizzativi: una chiave potrebbe essere quella di sviluppare progetti più adatti al superamento degli orari e degli spazi di lavoro, fornendo, ad esempio, gli strumenti tecnologici adatti per lavorare in mobilità.
Fattori fondamentali per l’abilitazione dello smart working sono ad esempio l’utilizzo di piattaforme cloud o di dispositivi come smartphone, tablet e smartwatch.

A questi si aggiungono servizi di social collaboration (come instant messaging, webconference, convergenza fisso-mobile) che rendono possibile la comunicazione, la collaborazione e la condivisione di conoscenza a prescindere dalla presenza fisica in un determinato luogo di lavoro.

E in più, i criteri di valutazione del lavoro andranno rivisti: per misurare le performance produttive si dovrà fare sempre più riferimento alla capacità di raggiungere obiettivi nei tempi prestabiliti.

Tornando ai dati della ricerca, segnali incoraggianti arrivano dalle grandi aziende: il 30%, infatti, nel 2016 ha realizzato progetti strutturati di smart working, con una crescita del 17% rispetto all’anno precedente.
Molto meno significativo il dato relativo alle pmi, tra le quali la diffusione di progetti lavorativi “smart” è ferma al 5% del 2015, frutto di una mancanza di consapevolezza dei benefici ottenibili.
La speranza è che la spinta decisiva verso l’attuazione di modelli di “lavoro agile” possa venire dall’attuazione del disegno di legge 2233, attualmente in discussione in Parlamento, che regolerà la disciplina sul lavoro autonomo e su quello da remoto.

 

 

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